Bruno de Simone
 La voce scoperta da Bruscantini che ha reso più gentile la lirica

BRUNO DE SIMONE
La voce scoperta da Bruscantini che ha reso più gentile la lirica
di Laura Valente

Può darsi che a volte la perfezione si manifesti gentilmente, lentamente, in punta di piedi. E che una voce danzi su un tessuto di seta, senza eroismi, amniotica e calma, drammatica e leggera. Come quella di Bruno de Simone, il cantante napoletano, cresciuto nella fucina di un mammasantissima come Sesto Bruscantini, che puntò tutti i suoi assi su questo “autentico prodigio” strappandolo alla ghettizzazione della sola opera buffa e sdoganandolo come “assoluto fuoriclasse del repertorio giocoso sette-ottocentesco”. De Simone ha appena ricevuto il Tiberini d´Oro (“per le doti vocali che lo hanno reso famoso ed indispensabile nel panorama lirico internazionale”) – il prestigioso premio che in passato è stato assegnato a Samuel Ramey, Rockwell Blake, Pier Luigi Pizzi, Daniela Dessì, Cecilia Gasdia – e a Tokyo, proprio in questi giorni, è sommerso, ogni sera, da veri e proprio bagni di folla all´uscita del teatro dove interpreta un suo cavallo di battaglia, Don Magnifico nella Cenerentola di Rossini.

 

Ma de Simone è un uomo riservato e schivo e non è tipo da mettere i manifesti sui tanti riconoscimenti che lo hanno fatto svettare ai primi posti nella considerazione dei più grandi direttori d´orchestra e, soprattutto, delle case discografiche che gestiscono il business della distribuzione: Bmg, Fonit Cetra, Emi e Sony. La sua storia non è di quelle che commuovono. E´ figlio di un´agiata famiglia della Napoli bene, vive in un palazzo d´epoca di via Crispi, papà Luigi è medico e mamma Annamaria casalinga. «Certo i miei avevano immaginato per me una carriera diversa. Mio fratello maggiore, Giovanni, è cardiologo. Un figlio cantante non li vedeva proprio entusiasti». Ed anche se la vena poetica in famiglia è assicurata ? Luigi è un lontano parente di Salvatore di Giacomo – gli studi sono tradizionali: liceo classico all´Umberto, Giurisprudenza alla Federico II. La vera, grande, emozione è per la prima audizione. «Me la fece un pezzo non secondario della storia della vocalità. Alfredo Krauss era a Napoli. Mi ascoltò nel salotto di casa mia grazie all´insistenza di amici comuni».

 
Il debutto a 21 anni, a Spoleto, dopo gli studi privati a Napoli con Marika Rizzo. «Quando mi sentì cantare, mi chiamò alla fine dello spettacolo e mi disse: “Non posso più fare niente per te”. Era commossa». In commissione c´era Sesto Bruscantini. Un mito. «Mi prese sotto la sua ala protettrice e mi insegnò tutto quello che so. Era un uomo sobrio nel privato, distante dalle effervescenze del palcoscenico. Prima che morisse andai da lui. “Non perdere tutte le cose che ci siamo detti in questi anni, i ragazzi ne hanno bisogno”. Per il maestro era fondamentale che gli artisti si dedicassero agli altri».

 
Sempre a Spoleto l´incontro che cambia la vita. Durante l´allestimento di un Faust, nell´80, la cui locandina campeggia sul pianoforte dello studio, assieme alla foto con dedica (“avrai una brillante carriera, con profondissimo affetto”) del maestro. «Alessandra mi conquistò cantando. Aveva qualcosa di speciale». Un soprano leggero, su cui molti critici avevano deciso di puntare. «Ci siamo subito innamorati. Al nostro matrimonio, nell´84, Bruscantini e Gregoretti, che erano i nostri testimoni, capirono che era un´unione complessa, assoluta». Eh sì, perché Alessandra Rossi, pur continuando a cantare, da allora segue il marito ovunque. Nel frattempo è diventata una richiestissima e appagata insegnante.
«L´anno scorso Alberto Zedda l´ha ascoltata ed è rimasto sorpreso di quanto il suo modo di cantare fosse rimasto intatto, esprimesse qualcosa di autenticamente suo». Bruno e Alessandra vivono in Toscana dal 1987. Una casa immersa nelle vigne e tra gli ulivi di Impruneta. Dal loro salotto si vedono le colline che abbracciano Firenze e le chiacchiere in libertà scorrono sulle immagini dell´ultima “Scala di Seta” di Bruno a Berlino. La sua interpretazione di Germano, il servitore sciocco reso un´icona da Rossini, a gran richiesta tornerà ad occupare la celebre istituzione lirica tedesca. Tutti lo vogliono e il suo calendario è fitto per i prossimi tre anni: Valencia, Pesaro, Bologna, Washington, Monaco, Amsterdam, La Coruna. «Ho sempre studiato moltissimo, credo nella politica del lento pede. Dopo 24 anni di attività comincio a raccogliere i frutti di una carriera che non è passata al vaglio delle segreterie dei partiti».

 
Al Concertgebouw di Amsterdam Riccardo Chailly lo ha voluto, insieme a José Cura, tra i protagonisti del Trittico di Puccini. Una produzione fortunatissima, ora in un esclusivo cofanetto della Emi. «Chailly è un musicista elegante, sa dialogare con i cantanti, riesce a farli entrare naturalmente nel suo modo di concepire l´interpretazione». E Napoli? «Ho un rapporto controverso con la mia città. Vivo a 360 gradi la napoletanità, da non confondersi con la napoletanitudine, carrellata di forzature comportamentali che detesto. In fondo noi non siamo estroversi davvero, non siamo generosi con i talenti che nascono qui. Per essere credibile un napoletano deve prima far successo fuori.

Solo dopo aver cantato Lo frate ?nnammurato di Pergolesi alla Scala si sono accorti che esistevo. Non mi piace la napoletanitudine, non possiamo ridurci alla pizza e alla canzone napoletana». Parlare di Cimarosa lo fa uscire dai confini della sua consueta pacatezza. «Certo è nato ad Aversa, se vogliamo essere precisi. Più di settanta opere, tutte capolavori. Se fosse nato nell´ultimo dei paesini della provincia di Bergamo, gli avrebbero dedicato musei, festival e teatri. Come amava dire Celletti “con lui il buffo è cantante, non parlante”. Era un grandissimo uomo di musica, con uno straordinario fiuto per le soluzioni sceniche». L´ottimismo torna quando si parla dei giovani allievi dell´OperaStudio di Pisa. «Con loro capisco quanto mi ha dato lavorare con un maestro come Riccardo Muti e con un talento teatrale come Mario Martone».

 

E´ proprio con il regista napoletano che, nel tempio rossiniano di Pesaro, ha ottenuto un successo personale. L´opera, Matilde di Shabran, ha incassato consensi di critica e di pubblico senza riserve, tanto da rientrare ? in un´immaginaria top ten degli spettacoli migliori del Rossini Opera Festival – al primo posto, ex aequo con lo storico “Il viaggio a Reims” di Claudio Abbado. «Ecco, quando sto con i miei ragazzi è come se la lezione di Bruscantini, ma anche quella di Alberto Zedda e di Martone mi guidassero nel difficile tentativo di indicare ai giovani un metodo di studio». E´ corteggiatissimo dal cinema. «Quando Giuseppe Piccioni voleva che io interpretassi il protagonista del suo Chiedi la luna ho anche, per un momento, pensato di accettare. Così, per divertirmi. Non è ancora il momento. Ho ancora troppa voglia di cantare».

 

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marco

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