Il soggetto fu tratto dalla celebre fiaba di Charles Perrault, ma Ferretti si servì anche di due libretti d’opera: Cendrillon di Charles Guillaume Etienne per Nicolò Isouard (1810) e Agatina, o la virtù premiata di Francesco Fiorini per Stefano Pavesi (1814).
L’opera fu composta in circa tre settimane e Rossini, come fece in altre occasioni, affidò ad un assistente (in questo caso Luca Agolini) la composizione dei recitativi secchi e delle arie meno importanti, quelle di Alidoro e Clorinda.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro Valle di Roma. Il contralto Geltrude Righetti Giorgi, che era stata già la prima Rosina del Barbiere di Siviglia, cantò il ruolo della protagonista.
Il debutto, pur non provocando uno scandalo paragonabile a quello del Barbiere, fu un insuccesso, ma dopo poche recite, l’opera divenne popolarissima e fu ripresa in Italia e all’estero.
Come aveva già fatto altre volte, Rossini usò la tecnica dell’autoimprestito, cioè prese le musiche per alcuni brani da opere composte in precedenza: il rondò di Angelina è tratto dall’aria del conte di Almaviva del Barbiere “Cessa di più resistere” e la sinfonia è tratta da quella della Gazzetta.
Per una ripresa del 1820 al Teatro Apollo di Roma, avendo a disposizione l’ottimo basso Gioacchino Moncada, Rossini sostituì l’aria di Alidoro composta da Agolini con una grande aria virtuosistica (Là del ciel nell’arcano profondo), che nelle rappresentazioni odierne viene solitamente eseguita. Scelta che per altro obbliga a scritturare una prima parte anche per il ruolo di Alidoro, che nella versione originale era poco più di un comprimario.
“La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro Valle di Roma.”
Il personaggio – Don Magnifico
Don Magnifico (basso buffo): barone di Montefiascone, nobile spiantato e decaduto, oltreché involontariamente comico (da tipico esempio di basso dell’opera buffa napoletana). Padre di Clorinda e Tisbe nonché di Angelina (detta comunemente Cenerentola). Alla morte della madre di quest’ultima, incamera a vantaggio proprio e delle figlie il patrimonio di Cenerentola (che nulla sa in proposito) non solo per poter mettere assieme pranzo e cena, ma soprattutto per soddisfare la vanità delle stupide figlie (“per abbigliarvi, al verde l’ho ridotta…”). Sogna di uscire dalla voragine di debiti in cui si trova accasando una delle figlie al principe: per l’insipienza propria e dei suoi “rampolli femminini”, ahilui, farà ben altra fine (anche se la bontà di Cenerentola lo salverà comunque dal peggio).