Lo “Status quo” nel quale siamo piombati a causa del COVID-19 ormai da due mesi a questa parte (acronimo che sembra riecheggiarne altri di film di fantascienza…) è senz’altro la confusione e lo smarrimento, binomio che produce pericolosi conflitti interiori e sociali.
L’unica certezza che abbiamo è che questo virus continui ad essere tra di noi e stia provocando ogni giorno migliaia di morti in tutto il mondo; la scienza non abbozza previsioni sulla sua durata, nonostante l’abnegazione di tanti medici, costringendo tutti noi con il “lockdown” a notevole sofferenza.
Dalla continua informazione ufficiale, spesso confusa e contraddittoria, ne è nata una sorta di “infodemia” che genera talvolta “fake news”: alcune di esse sono poi promosse a news… drammaticamente attendibili.
Questa maledetta pandemia ha riportato alla luce l’eterna dicotomia tra Filosofia e Scienza che ha raggiunto il suo “àkme”, in un momento così drammatico, proprio per la difficile convivenza tra le due secolari discipline, vedendo la prima soccombere, e non sempre oculatamente…
In procinto di decollare per una Fase 2 (cinture di sicurezza d’obbligo!), impossibile non far comparazioni relative alla Fase 1 ricordando, per esempio, che la Corea del Sud ha evitato il blocco dell’economia tracciando, attraverso i telefonini, i percorsi degli infetti rilevati nei giorni precedenti, e mappando su una App il rischio delle varie aree: misure che ogni società solidale e con tecnologia avanzata avrebbe potuto mettere in atto.
Nel quadro generale delle attività lavorative, era chiaro che la Cultura, ultima ruota del carro delle attenzioni politiche (l’assenza dell’attribuzione di una task force tra le tante formate relativa ad essa ne è la riprova…) rischiasse di farne gravemente le spese ed in essa, in particolare, le arti rappresentative: e l’opera lirica, giudicata da politici “illo tempore” spettacolo vetusto da archeologia, rischia seriamente di avere la peggio su tutte.
È pur vero che la crisi delle strutture produttive musicali, Fondazioni liriche “in primis”, esisteva ben prima della pandemia, come tutti sappiamo, per svariati motivi.
A monte di tutto, sarebbe opportuno se non necessario il ritorno al carattere pubblico di esse, così com’erano state concepite e classificate.
Si avverte l’esigenza di maggior controllo e trasparenza in tutti i settori e del recupero in giusta misura dei vari ruoli, che si può supporre possa essere ottenuto dallo Stato in maniera più efficace.
Da sempre sono stato convinto assertore del fatto che la politica riguardi tutto ciò che siamo e facciamo, al di là di appartenenze a partiti, (la “polis” dell’antica Grecia), e che occorra il buon senso che guidi alla soluzione di problemi sociali importanti, anche quelli di settore lavorativo specifico.
Mi sembra il caso di ricordare che il teatro, inteso come apparato, comprenda tutti i lavoratori che si dedichino ad esso e che ne siano l’ossatura principale, a cominciare dalle masse senza le quali noi cantanti “solisti” non esisteremmo.
La storica sconnessione tra noi solisti, “autonomi” e tutti gli altri “dipendenti” ha prodotto continui malintesi, diffidenze che nascono da interessi diversi, esponendoci ad essere considerati, se non una casta privilegiata, una “corporazione”, segnale improvvido lanciato anche da figure associative. Tutto ciò è un pericoloso boomerang per tutti noi: ci si ricorda solo ora, in situazione di emergenza mondiale, del trattamento contrattuale che è stato riservato a noi solisti, scegliendo il momento meno opportuno.
È vero che da molto tempo ormai accusiamo drastiche riduzione dei compensi, spesso pagati con estremo ritardo, mentre dobbiamo comunque sopportare l’esborso delle spese necessarie per sostenerci durante le prove ed è ancor più grave che lo Stato non consenta la detrazione di tali spese se non in minima parte: averlo accettato ed avallato non è “colpa” attribuibile solo a noi, firmatari del contratto ma certo non delle trattative relative; ma è altrettanto vero che, come tutte le categorie imprenditoriali, ci accolliamo i relativi rischi di impresa. Per non parlare di alcune clausole al limite del lecito, come quella che ci impegna a non ammalarci oltre le ore tot del giorno della recita: nessuno si è mai rifiutato di accettarla. E la differenza con i colleghi d’oltralpe è notevole, ma già da lungo tempo. Ma appare inopportuno tirar fuori ora tutto ciò, con drammatiche situazioni di migliaia di lavoratori del nostro stesso settore che pur avendo scelto il rapporto dipendente si trovano in cassaintegrazione con enormi difficoltà. E la Politica come interviene a sostegno del mondo artistico e dello spettacolo in generale…? Ignorando il settore Cultura, omettendo l’attribuzione di una Task Force, come invece è stato realizzato per altri settori lavorativi.
In questo quadro sconfortante di paura ed angoscia, qualcuno parla di riaprire teatri e sale proponendo solo di far occupare un posto dal pubblico lasciandone liberi gli altri due “a latere”: difficile immaginare di poter attuare tale “accortezza” nelle masse, orchestra, coro e squadre intere di tecnici. E noi solisti, pur abituati a coprire con il canto distanze anche notevoli di spazio, senza che la narrazione perda efficacia, avremmo le nostre difficoltà.
Il ricorso alla Scienza è d’obbligo, con opportuni esami a priori, tamponi e sierologici complementari tra di loro, che eseguiti ad ognuno potrebbero offrire giusta garanzia a poter far lavorare tutti con relativa tranquillità, in attesa del sospirato vaccino.
D’altronde, se si arriverà a riprendere l’attività sportiva, in particolare il calcio, difficile ipotizzarne rischi minori rispetto alla nostra, che tra le attività di “entertaintment” suggerirebbe maggiore considerazione, tralasciando logiche … immorali di profitto.
Ritornando a noi lavoratori autonomi dello spettacolo, è chiaro che mai come ora ci sentiamo indifesi e abbandonati a noi stessi. Alcuni, come il sottoscritto, lamentano da sempre la mancanza di un albo professionale, esistente in tutte le categorie di autonomi, che ci riconoscerebbe un minimo di dignitoso riferimento.
E ci si rende ben conto che le giovani generazioni di artisti subiscono oggi sulla propria pelle quanto improvvidamente accettato dai colleghi più avanzati di età e di carriera, e in questo momento sono più disorientate che mai.
Come docente attivo da anni, impegno che sostengo da tempo accanto alla mia attività di solista, mi preoccupa molto la sorte dei giovani talenti che hanno profuso anni di studio e sacrifici, per arrivare a una qualità professionale con il rischio di vedere tramutate le loro speranze in illusioni. Sulle soluzioni transitorie come quella dello streaming di intere produzioni dal vivo, avanzata da marchi teatrali di alto lignaggio, avanzo seri dubbi per vari motivi.
Atteso che il web già dimostra la sua validità anche per l’opera per iniziative limitate a carattere divulgativo, come uso non invasivo, esso non può essere confrontato con l’impagabile fruizione di uno spettacolo dal vivo di cui l’opera lirica è tra le massime eccellenze.
È evidente inoltre che se Fondazioni dal marchio più blasonato partissero con lo streaming senza inquadrarsi in un progetto unitario che tenesse conto delle altre realtà produttive, dalla più debole alla più forte, si andrebbe incontro a sicura disfatta: solidarietà di intenti e di finalità.
Inoltre l’opera in streaming potrebbe essere il drammatico suggello al preoccupante impoverimento di pubblico dal vivo, soprattutto per scarsa presenza ed interesse dei giovani che in altre nazioni lo arricchiscono aggiornandone l’anagrafica.
La causa di tale mancanza ha origini remote: l’assenza dai programmi scolastici di una materia altamente formativa come la Musica, ne è una delle cause principali. Essa è presente in molte nazioni già dalla tenera età scolare che perciò sfornano fior fior di musicisti che affollano legittimamente e sempre più le nostre sale d’ascolto e teatri.
È solo con una visione olistica dei problemi da analizzare sarà possibile intravedere qualche soluzione o almeno miglioramenti, dato che i vari argomenti o discipline trattate non costituirebbero dei compartimenti stagni ma sarebbero collegati tra di loro da comuni denominatori: l’unione e non la divisione, la solidarietà e non la pericolosa omertà sono i più importanti. Essi possono aiutarci a ripristinare necessariamente un codice etico in tutti i settori su citati, e non solo. Concludo ritornando alla Filosofia:
“La musica è una legge morale, essa dà un’anima all’universo, … splendente appassionata ed eterna” ciò che già diceva Platone nei suoi Dialoghi nel 400 a.C…
Bruno De Simone